La Natura dell'Amore - recensione di Francesco Albanese - Donatella Marazziti

La Natura dell’Amore – recensione di Francesco Albanese
6 dicembre 2016

natura amore

Chi non conosce l’amore? Chi non ha qualcosa da dire sull’amore? Sulla propria esperienza, sui propri desideri? L’amore è sulla bocca di tutti, è sulle pagine dei giornali, è nei film, negli sceneggiati. Sull’“amor che move il sole e l’altre stelle”, come cantava Dante, sono state scritte centinaia di migliaia di pagine di prosa, di poesia. Leggiamo dichiarazioni essenziali d’amore, scritte in calligrafie incerte con lo spray sui muri, o intagliate nelle panchine dei giardini pubblici, scartiamo un cioccolatino e vi troviamo dentro una frase d’amore… Pare dunque che il sentimento dell’amore sia ben radicato nella natura dell’essere umano, tanto che sembra non sapergli resistere, come se lo riempisse talmente che in qualche modo fosse costretto a concedergli una via d’uscita all’esterno.

Ma se l’amore è stato, ed è tutt’oggi, l’argomento principe della letteratura, nelle pagine di “La natura dell’amore”, facciamo la conoscenza di un aspetto dell’amore a cui non molti pensano, e a cui altri preferiscono non pensare per non inquinare l’atmosfera sognante di poesia che spesso lo accompagna: la sua natura. Ma cosa vuol dire natura dell’amore?

Oggi sappiamo bene che le manifestazioni comportamentali dell’uomo e le emozioni, le sensazioni, le percezioni esperite da questo hanno un correlato biologico. Pertanto, anche per l’amore possiamo trovare un correlato organico all’esperienza emotiva ed ai comportamenti ad essa associati. In breve dunque, per dirla con le stesse parole dell’autrice: “l’amore è un processo, vale a dire un’entità dinamica in movimento, che ha un inizio ed un suo percorso con varie tappe scandite da vari sistemi e meccanismi biologici”. E questi meccanismi regolano ciascuna fase del percorso amoroso, dall’attrazione, all’innamoramento, all’attaccamento.

Per chi conosce, anche solo approssimativamente, i “compiti” che sono stati assegnati dalla Natura alle varie aree cerebrali, non sarà una sorpresa trovare tra le strutture che partecipano all’esperienza amorosa il lobo limbico, l’amigdala, l’ippocampo, i lobi frontali e le aree del setto. Quest’ultime sembrano giocare la loro parte nell’esperienza amorosa, dato che in queste si suppone abbiano sede alcuni centri del piacere. In realtà i centri del piacere dell’area del setto sono stati ben identificati negli animali da laboratorio, i quali, appresa l’associazione tra la pressione di una leva e la stimolazione elettrica di questa area nel proprio cervello, continuano incessantemente a premere la leva, dimenticando di mangiare ed ignorando la cavia procettiva. Nell’uomo non sono stati ancora trovati centri specifici del piacere, anche se le prime indagini effettuate mediante PET sembrano evidenziare che le emozioni positive possono attivare numerose aree cerebrali, oltre a quelle del lobo limbico e dell’area del setto. Il piacere e la sofferenza sono emozioni complesse e per questo non ci dobbiamo sorprendere che esistano nell’uomo centri del piacere veri e propri, e che queste siano il risultato dell’interazioni di svariate aree cerebrali. Ciò che invece ci potrebbe meravigliare è la probabilità che certe emozioni piacevoli, come quelle connesse all’innamoramento e all’amore, vengano appositamente ricercate perché attivano circuiti cerebrali in grado di suscitare sensazioni piacevoli, mentre altre vengono evitate proprio per il motivo opposto.

Nella fase dell’innamoramento, a giocare un ruolo di rilievo, sono gli ormoni, tra cui spiccano per quantità ed efficacia il LH (ormone luteinizzante) e l’FSH (l’ormone follicolo-stimolante), secreti dall’ipofisi e che regolano la sintesi di estrogeni e progesterone nelle ovaie e di testosterone nei testicoli. Indicazioni sul fatto che detti ormoni siano implicati nell’innamoramento ci viene da due constatazioni: la prima è che LH e FSH sono secreti in maggiore quantità durante la pubertà, e questa è sicuramente il periodo della vita in cui ci si innamora con più frequenza (e forse con maggiore intensità), in cui l’innamoramento ha effetti “esplosivi” sia a livello cognitivo, che emotivo, che comportamentale, il periodo in cui “si perde la testa” e “si fanno pazzie” per la persona amata; in secondo luogo, è stato osservato che individui con ipofisi che funziona meno (ipopituitarismo) vivono l’innamoramento con più difficoltà e presentano una riduzione del desiderio sessuale.

Come capiamo dunque che siamo innamorati? Dobbiamo forse misurare giorno per giorno i livelli ormonali del nostro organismo? Fortunatamente no. Ci sono degli indicatori che si manifestano nell’innamorato (sia a livello cognitivo, che emotivo, che comportamentale) e che riguardano essenzialmente tre aspetti psicofisiologici: (1) la sensazione e la consapevolezza di uno stato mentale alterato, che è generalmente di benessere, o oscillante tra gioia e tristezza; (2) il manifestarsi di comportamenti specifici e complessi che hanno lo scopo di evocare una risposta reciproca; (3) la presenza di immagini intrusive relative all’altro. Quest’ultimo aspetto è di particolare rilevanza, e può facilmente ricordare, agli “addetti ai lavori”, il Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC). Infatti, il team diretto dalla D.ssa Marazziti al Dipartimento di Psichiatria, Neurobiologia, Farmacologia e Biotecnologie dell’Università di Pisa, ha mostrato come tra il DOC e lo stato dell’innamoramento vi sia un’importante elemento che li accomuna e che pare essere all’origine della persistenza dell’”idea fissa” (condizione che si verifica anche in presenza di gelosia marcata e paranoia): l’abbassamento del livello di serotonina, neurotrasmettitore che ha sull’organismo un effetto “calmante”. Da questo punto di partenza è stato costruito un modello di lavoro ipotetico, che si fonda sull’ipotesi che la disfunzione della serotonina (evidenziata in realtà dalle modificazioni del suo trasportatore) sia collegata a modalità di funzionamento generale della mente, cosa che ha portato a pensare che innamoramento, ossessioni, paranoia e gelosia condividano alcuni meccanismi biologici.

La natura dell’amore” è un libro tecnico, ma è rivolto sia al professionista, in quanto offre punti di vista sicuramente inusuali, quanto al “profano” che è facilitato nella lettura dalla semplicità e chiarezza di esposizione di un argomento così vasto e polimorfo. Il pregio maggiore di questo libro è che mette sicuramente ordine nell’insieme di dinamiche complesse che interagiscono nell’esperienza amorosa. L’unico suo difetto e che risponde a tutte le domande che ci possiamo fare in merito all’amore, meno che ad una, che rimane, e sempre rimarrà, l’eterno dilemma della causalità: ci si innamora perché si è abbassato il livello di serotonina, o questo diminuisce perché ci siamo innamorati?

Francesco Albanese (fonte: psicoterapia.it)


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